La sempre maggiore conoscenza dei meccanismi d’azione del virus SARS-CoV-2 mette in luce il coinvolgimento non solo dell’apparato respiratorio ma anche di molti altri organi e apparati.3È ormai chiaro che la malattia COVID-19 è molto più di una polmonite: tale condizione colpisce anche l’endotelio dei vasi polmonari e scatena manifestazioni trombotiche, ostruendo il normale flusso sanguigno.3 Questa sindrome trombotica infiammatoria polmonare microvascolare può progredire dai polmoni per diventare sistemica e coinvolgere altri organi vitali (cuore, cervello, reni), portando a insufficienza di molteplici organi e morte.3
Oltre alle cellule epiteliali alveolari (di tipo I e II) del tessuto polmonare, target del virus sono anche le cellule endoteliali di arterie e vene (nonché le cellule delle arterie della muscolatura liscia e i cardiomiociti), in quanto esprimono entrambe le proteine che risultano simultaneamente necessarie per l’infezione da SARS-CoV-2:1
I dati clinici ad ora disponibili, difatti, indicano che nei pazienti con forma severa di COVID-19, il SARS-CoV-2 innesca un CIRCOLO VIZIOSO tra reazione infiammatoria, risposta immunitaria eccessiva, attivazione delle cellule endoteliali e ipercoagulabilità, con conseguenti disfunzioni d’organo.1
L’infiammazione bilaterale polmonare diffusa si associa alla coagulopatia intravascolare polmonare (PIC), una forma di vasculopatia polmonare-specifica frequentemente rilevata nelle autopsie di pazienti deceduti per COVID-19, insieme a immunotrombosi e occlusione vascolare nel microcircolo polmonare (nei pazienti con COVID-19 severo o critico, si riscontra con frequenza anche immunotrombosi a livello di altri organi come reni, fegato, cuore, cervello e intestino).1 In un’analisi di 80 autopsie sono state altresì documentate tromboembolia venosa (VTE) ed embolia polmonare associata a trombosi venosa profonda. L’85% dei pazienti deceduti manifestava malattie cardiovascolari.1
La presenza di malattie cardiovascolari è associata a forme più gravi della malattia COVID-19 e a maggiore mortalità.1 L’analisi di 44.672 pazienti con la malattia infettiva ha rivelato che un’anamnesi di malattie cardiovascolari (CVD) si associa ad un incremento di quasi cinque volte del tasso di fatalità rispetto ai pazienti senza CVD (10,5 vs 2,3 %).1
Una metanalisi ha evidenziato che tra 1527 pazienti:1
I fattori di rischio che predispongono allo sviluppo del COVID-19 in forma severa sono: sesso maschile, diabete mellito non controllato, patologie cardiovascolari, ipertensione arteriosa, obesità ed età avanzata.1
Intervalli di prevalenza di malattie cardiovascolari, fattori di rischio cardiovascolari e altre comorbidità correlate al peggioramento della malattia nei pazienti ospedalizzati con COVID-19 1
L’ipertensione arteriosa è una condizione seria che aumenta in maniera significativa il rischio di eventi cardiaci maggiori, di ictus e di malattia renale.2 Trattare l’ipertensione, di solito con farmaci che riducono la pressione, riduce in maniera significativa il rischio di queste complicanze pericolose.2
Gli inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina (ACEI) e gli antagonisti del recettore di tipo 1 dell’angiotensina II (ARB) sono largamente utilizzati per l’ipertensione arteriosa.1 Tali agenti antipertensivi promuovono l’espressione di ACE2: ciò ha portato a formulare l’ipotesi che questi farmaci potessero incrementare il rischio di infezione da SARS-CoV-2 o di peggioramento della malattia COVID-19.1
Tuttavia, è anche vero che ACE2 controbilancia il sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAS), inducendo vasodilatazione e riducendo la risposta infiammatoria.4SARS-CoV-2, invece, riduce l’attività di ACE2 e intensifica lo sbilancio verso i deleteri effetti a valle dell’enzima ACE, contribuendo all’infiammazione tissutale e sistemica.4,5 La downregolazione di ACE2 può contribuire all’ipertensione arteriosa. Difatti, è stato osservato che i pazienti con COVID-19 sono meno capaci di controbilanciare l’attivazione progressiva del sistema RAA e che la diminuzione della funzionalità polmonare può associarsi ad un incremento della pressione arteriosa, possibile conseguenza della deplezione di ACE2.2
Bilancio tra ACE2 e sistema RAA in condizioni di COVID-19 e sotto trattamento con antipertensivi 4,5
Inoltre, gli studi clinici non confermano l’ipotesi suddetta.1 Dall’analisi di 2.263 pazienti con ipertensione arteriosa, positivi al test per SARS-CoV-2 e sotto trattamento con almeno un agente antipertensivo, è emerso che l’utilizzo di ACEI o di ARB non è associato al rischio di ospedalizzazione o di mortalità.1
Sia il VAS-European Independent Foundation in Angiology/Vascular Medicine sia la lega mondiale dell’ipertensione raccomandano pertanto di continuare il trattamento con terapie antipertensive nei soggetti che dovessero sviluppare COVID-19.1,2
Alcuni pazienti con ipertensione presentano un rischio particolarmente elevato:2
I pazienti con patologie vascolari-fattori di rischio cardiovascolari e COVID-19 costituiscono il più ampio cluster di pazienti a rischio di peggioramento della malattia. Pertanto, il VAS-European Independent Foundation in Angiology/Vascular Medicine ha formulato una strategia complessiva per la gestione di tali pazienti.1
Il sistema sanitario di base deve proteggere i pazienti con patologie vascolari-fattori di rischio cardiovascolari dall’infezione da SARS-CoV-2, a causa dei loro maggiori rischi di peggioramento della malattia, di VTE e di morbidità post-ospedalizzazione.1
Bibliografia:
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